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Welcome on board
- / Far funzionare il Board

Ma il Board deve (davvero) occuparsi del fundraising?

L’unica risposta corretta – giusto per fugare qualunque dubbio – è: sì, il Board (i consiglieri) dovrebbero avere il fundraising al cuore del proprio incarico nella governance dell’organizzazione.

E, sempre per allontanare le perplessità e sgombrare il campo da equivoci: è così se siete in Consiglio perché di nomina di un Ente istituzionale di riferimento, o anche se siete in Consiglio solo perché ve lo ha chiesto il Presidente che è un vostro amico. E perfino se sedete in Consiglio perché vi siete candidati senza avere idea che avreste dovuto sentir parlare di fundraising.

E, badate bene: scrivo fundraising, non raccolta fondi, perché è del primo che parliamo, ovvero di tutte quelle attività strategiche che hanno per obiettivo la sostenibilità futura dell’organizzazione – che è cosa ben diversa dal solo raccogliere fondi e coinvolge la strategia, l’idea di futuro che avete per l’organizzazione nel cui Consiglio sedete, i volontari, i progetti, la comunicazione e il modo in cui “uscite all’esterno” e così via.

Nella mia esperienza italiana (nel senso fatta con le organizzazioni nonprofit italiane) non è così frequente che i Consiglieri sappiano e/o siano entusiasti all’idea che il fundraising sia tra le attività di cui ci si aspetta che si occupino.
Perché il pensiero di fondo è uno, sempre quello: “dovrò chiedere soldi ai miei amici o conoscenti”. E poco importa che il fundraising non sia esattamente quello, o che le sue premesse siano altre e più nobili. L’idea che rimane fissa è quella dell’elemosina.
E questo – a ragione, sia chiaro – scoraggerebbe chiunque.

Parleremo un’altra volta di formazione al fundraising dei Consigli Direttivi.
Quello che mi preme, qui, è condividere qualche spunto sul perché il fundraising dovrebbe essere sempre un “problema” del Consiglio Direttivo.
E lo faccio per punti, così da seguire un filo logico:

– la prima ragione, la più importante, è connessa al senso stesso del fundraising. Se assumiamo che il fundraising è prima di tutto relazione tra appassionati di una causa – e i donatori sono i primi ad esserlo impegnandosi in prima persona (attraverso le donazioni) perché la causa vada avanti – è tautologico che un Consigliere, che rappresenta il vertice politico-strategico dell’organizzazione e della sua causa, che ne incarna il sistema valoriale, che ha l’onere e l’onore della promozione e sviluppo della causa stessa, non possa che impegnarsi in prima persona nell’attività che ne assicura un futuro. 

Sembra logico scritto così, vero?
In realtà … lo è!

E’ “tutto” qui, il motivo: l’adesione morale alla causa, ai valori che la causa stessa esprime.

In questa ragione c’è tutto l’orgoglio di appartenenza, il senso di rappresentare un mondo valoriale di riferimento rispetto al quale fare fundraising dovrebbe essere un punto d’onore.

Ed è proprio questa la differenza che vedo nel lavoro di tutti giorni quando ho a che fare con organizzazioni straniere o il cui Board sia composto da non italiani, soprattutto se dell’area anglosassone.
La voglia di spendersi nel proprio ruolo (e la consapevolezza di doverlo fare) quale punto di riferimento di una comunità che fa capo all’organizzazione di cui si è Consiglieri la vedo, spesso, in quei contesti in cui sedere nel Board è motivo di orgoglio e espressione di “peso” nella comunità di riferimento.
Mi è accaduto spesso, in queste situazioni, di stimolare il Presidente o i Consiglieri a utilizzare questo peso per generare effetti emulativi a sostegno di campagne di raccolta fondi … e ha sempre funzionato.

perché – e questa è un’altra ragione, il fundraising dei membri del Consiglio Direttivo può spendersi, a maggior ragione, come fundraising “tra pari”.

Mi spiego meglio: di solito – a meno di eccezioni – i candidati consiglieri vengono individuati tra quei soggetti che, per competenze, posizione e profilo professionale, prestigio riconosciuto nella comunità di appartenenza, notorietà del “nome”, rete relazionale allargata (qui trovate qualche suggerimento su come individuare i candidati che fanno al caso vostro), rivestono un ruolo preminente nel contesto in cui operano. E questo ha una sua logica naturale connessa al peso che si vuol dare all’impatto dell’organizzazione (della sua causa).

Per questo motivo, di solito i consiglieri sono persone che hanno una rete relazionale “naturale” che costituisce un ottimo bacino per attività di sensibilizzazione, promozione, coinvolgimento – tutto quello che serve, insomma, per fare fundraising (ve l’avevo detto che non si trattava di raccolta fondi!).

Attivare questa rete di relazioni, da parte del Consigliere, significa proiettare l’organizzazione all’interno di contesti a cui non sarebbe riuscita ad arrivare.

Ma significa anche, sempre per il Consigliere, enfatizzare il prestigio connesso al ruolo che ricopre, sottolineare l’importanza della mission che rappresenta, stimolare e incoraggiare la diffusione della stessa perché si allaghi la cerchia di coloro che la conoscono e ne parlano.

E’ questo, il ruolo dei Consigli Direttivi rispetto al fundraising.
Non necessariamente comporta “chiedere soldi agli amici” – spesso sì e, come vedremo in un altro post, non è necessariamente traumatico perché parliamo di progetti che mirano a risolvere problemi o creare opportunità, non di elemosina da pietire (senza che in questo ci sia alcunché di male, ma di solito non è qualcosa che faccia piacere).

Approfondiremo ancora il tema con casi concreti e esempi tratti dal quotidiano.
Quello che, però, mi preme sottolineare è che la prossima volta, prima di farvi spaventare dalla parola fundraising associata alla proposta di entrare nel consiglio Direttivo di una organizzazione, vi facciate una domanda: credo nell’importanza della causa che l’organizzazione promuove? E’ una causa che impatta sulla mia vita, sui miei valori, su quello per cui mi batto?

Se sì, il fundraising sarà una delle attività da cui trarrete più gioia e orgoglio nel provare, ciascuno nel proprio piccolo, a cambiare in meglio la realtà che ci circonda.

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