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Welcome on board
- / Il Board visto dai fundraiser

Quando un passo indietro è uno avanti

Sono settimane di rincorse tra call su tutte le piattaforme possibili, incontri a distanza con Board e fundraiser, riprogettazione di corsi di formazione per rendere l’esperienza sempre più fruibile al meglio per i partecipanti, riflessioni sul fundraising, sui fundraiser, sulle policy internazionali. E anche di webinar guardati ad orari impossibili, rigorosamente in differita, per non tralasciare il “cibo per la mente” e la coltivazione della curiosità.

 

Qualche giorno fa, durante uno di questi eventi a distanza, ho ascoltato parole che mi sono appuntata sull’agenda e che parlavano di collective leadership e di social and public purpose come approccio metodologico da trasferire quale know-how agli studenti dei corsi universitari afferenti a materie socio-filantropiche e simili.

Riflettevo su questi temi anche alla luce degli stimoli arrivati dal Nonprofit Women Camp che si è tenuto ad inizio marzo e ragionavo sul fatto che il paradigma della leadership, nelle organizzazioni nonprofit come altrove, andrebbe – nella maggior parte dei casi – rivisto e aggiornato in modo coerente con un tempo complesso come quello che stiamo vivendo.

[perché sì, io sono convinta che la nuova normalità sarà, appunto, nuova e diversa da quella che conoscevamo; quello che occorrerà capire è quanto di buono potremo portarci dietro nel “nuovo mondo” e quanto, invece, sarà bene lasciare là dove è rimasto. Il mio proposito riguarda l’attenzione alla mia impronta ecologica e alla definizione di modalità più leggere di impostazione della professione: dopo 1 anno di smart working pressochè totale, una riflessione condivisa con molte delle organizzazioni con cui collaboro è, ad esempio, che le riunioni di persona andranno calibrate bene, lasciando alle opportunità tecnologiche l’interazione e il confronto più serrato perché questa modalità fa guadagnare tempo da spendere in approfondimenti e pensiero “verticale” utile a tutti, evita spostamenti e inquinamento laddove possibile e, in generale, comporta un ripensamento di tempi e approccio che, perlomeno da quello che abbiamo constatato negli ultimi 12 mesi e mezzo, incrementa l’efficacia, la concentrazione e la qualità della produttività. Dedicando, invece, tutto il tempo che occorre in presenza quando sia realmente necessario e un vero valore aggiunto]

 

Tra le attività che seguiamo in questi mesi c’è il “disegno” del Consiglio Direttivo di una organizzazione che è in fase di rinnovo dopo 2 mandati con gli stessi membri.
Ad una fase di avvio dell’organizzazione, anni fa, che ci ha visto presenti come consulenti per tutto quello che riguarda la definizione della strategia di sviluppo insieme ai fondatori e allo staff, è seguito un periodo di consolidamento durante il quale alcuni tra i fondatori – non tutti – sono stati parte del Consiglio e hanno contribuito alla definizione del posizionamento dell’organizzazione.
Adesso è il momento di un cambiamento, con tutto quello che comporta dal punto di vista non tanto e non solo del “design” del Board da un punto di vista teorico quanto, più praticamente, in relazione alle sensibilità, agli orientamenti, alla “visione del mondo” condivisa tra i fondatori e i nuovi, futuri Consiglieri.

 

Qualche giorno fa ho avuto un incontro con uno di loro, fondatore, ex presidente e persona storicamente molto attiva all’interno dell’organizzazione.
Dopo un periodo di forte conflittualità interna al Consiglio aveva preso un anno sabbatico e adesso, pian piano, sta riprendendo i contatti con l’organizzazione.
È una persona di cui abbiamo molta stima, così come degli altri Board members e dell’organizzazione tutta che, anche nei momenti più complicati, ha sempre saputo tenere la barra dritta e non perdere di vista l’attenzione alla mission, la cura dei donatori, la ricerca di soluzioni alternative quando quelle programmate sembravano non funzionare.

Questa persona mi ha aggiornato su questi mesi di distanza, su come li ha vissuti anche in relazione alla pandemia, sulle riflessioni e considerazioni “da lontano” sull’organizzazione – devo dire che questo aspetto, della relazione personale, lo considero preziosissimo all’interno di una relazione professionale. Perché in molti casi mi consente di individuare percorsi e soluzioni facendo leva anche su un sentire legato alle storie individuali che, soprattutto in una professione fortemente imperniata sui valori e su un’idea del mondo che regala (letteralmente) la possibilità di schierarsi, ha una continuità tra i due ambiti.

E, ragionando insieme sullo sviluppo che in questi mesi ha avuto l’organizzazione, i risultati con il segno più davanti, un’organizzazione interna stabile, mi ha detto: “sai, ho capito che era il momento di fare un passo indietro. Questa organizzazione l’ho voluta fortemente, ho investito tempo e soldi per farla nascere e portarla ad un certo livello ed è stato molto frustrante rendermi conto di essere in disaccordo con la maggioranza degli altri consiglieri. Ho discusso, anche litigato. Poi, però, mi sono reso conto che avrei fatto solo danni a me e, soprattutto, allo staff che subiva tutta quella pressione e, in ultima analisi, all’organizzazione. Così mi sono allontanato, anche se mi faceva male il cuore nel farlo.
Adesso inizia un nuovo ciclo, me ne rendo conto dopo aver guardato e guardando le cose a distanza; e però, pur amando questa organizzazione e avendo un gran desiderio di volermi riavvicinare, capisco di non voler essere ingombrante e, soprattutto, non voler disturbare questo lavoro che sta funzionando così bene. Allora questo passo indietro me lo tengo stretto e mi metto al servizio dell’organizzazione in modo leggero”.

 

Ecco, al di là della declinazione che daremo al “modo leggero” – e che in qualche modo io ritrovo in tante riflessioni che sento e che, come ho scritto sopra, faccio in questo periodo sul tema – e dell’apprezzamento per il contenuto di queste parole, riflettevo anche su quante volte – poche, nella mia esperienza di ormai più di 10 anni di lavoro con i Board – ho sentito dire “faccio un passo indietro perché, pur essendo l’organizzazione una “mia creatura”, capisco che potrei danneggiarla se continuassi a rinfocolare la diversità di opinioni e pratiche”.
E a quanto, nel mio lavoro quotidiano, sia difficile poter dire ad un presidente o a un consigliere di farlo, questo passo indietro, per il bene dell’organizzazione, della sua attività, del clima interno. Ma, allo stesso tempo, a quanto sia utile per la salute dell’organizzazione avere un presidente o consigliere, a maggior ragione se fondatore, capace di guardare oltre l’amor proprio personale e l’attaccamento a qualcosa che si è visto nascere e si sente come cosa propria.

È una riflessione che mi porto dietro come consulente: mi sentirete citarla tra le best practice se ci incontreremo in consulenza o all’interno di corsi di formazione o durante conferenze sul tema.

È una riflessione che mi porto dietro come Board member io stessa: non sempre – per fortuna! – sono d’accordo con le opinioni degli altri consiglieri nei Board in cui sono, ma cerco di fare il possibile per lasciare lo spazio a qualunque opinione e mettermi al servizio della causa anche quando avrei fatto le cose diversamente – o leggermente diversamente, perché poi la gradazione della divergenza è quella che conta all’atto pratico.

Avere la consapevolezza che un passo indietro è sempre possibile aiuta a relativizzare il proprio “peso” e, in una certa misura, a guardare a distanza le cose quando sembra che non vadano come previsto.

 

Ecco, riprendendo a scrivere qui dopo diverse settimane, condividere questa riflessione mi è sembrata una opzione “salutare” per me che la scrivo in primis e – credo – anche per chi la leggerà.

Fare un passo indietro, ogni tanto, e guardare le cose da lontano ma con lo stesso sguardo d’amore fa bene a noi, agli altri, al futuro.

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